Mozart: Il Flauto Magico

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Singspiel in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder (tradotto in francese nel 1897), rappresentato per la prima volta a Vienna nel 1791.

Spettacolo in francese con sottotitoli in francese e inglese.

Cantato in francese.

 

Nel 1791, al Theater auf der Wieden, in un sobborgo di Vienna, Mozart diede la prima rappresentazione del suo Singspiel Die Zauberflöte.

 

Il libretto di Emanuel Schikaneder – che fu anche regista nel suo stesso teatro – mirava a raggiungere un pubblico popolare nella loro lingua. Grazie alle qualità teatrali e oniriche dell’opera e alla magnifica musica di Mozart venne rappresentata più di cento volte in un anno, e da allora il suo successo non è mai venuto meno.

 

Per affascinare il pubblico di tutte le età, gli amanti della musica e il pubblico inesperto, il plus di Mozart e Schikaneder è stato quello di rivolgersi agli spettatori nella loro lingua – e non in italiano come nelle opere di corte. Questo è ciò che propone questa nuova produzione, in una versione interamente in francese, messa in scena da Cécile Roussat e Julien Lubek (ricordiamo la loro bellissima Dido and Aeneas di Purcell) e diretta da Hervé Niquet, con un team di solisti pienamente investiti nei loro ruoli di attori-cantanti, in francese, per dare più forza al capolavoro di Mozart.

 

Trama

Atto I

Il principe Tamino sta fuggendo in una foresta inseguito da un dragone, e al momento di essere raggiunto, cade sfinito e sviene. Giungono però in suo soccorso le tre Dame della Regina della Notte che abbattono il serpente con le loro lance d'argento, lasciando poi a malincuore il bel giovane per recarsi dalla Regina a informarla.

Entra in scena Papageno, il buffo uccellatore vestito di piume che suona il suo flauto. Quando Tamino riprende i sensi crede che sia stato Papageno a uccidere il dragone, e costui non nega il fatto. Tornano però le tre Dame che lo puniscono per questa menzogna, chiudendogli la bocca con un lucchetto, per poi mostrare a Tamino un ritratto della giovane Pamina, figlia della Regina, dalla cui bellezza egli resta colpito.

Preannunciata da un fragore di tuoni, fa l'ingresso in scena la Regina della Notte, che lamenta il dolore per la scomparsa della figlia Pamina, che il malvagio Sarastro tiene prigioniera con un suo incantesimo, e prega Tamino di andare a salvarla.

 

Innamoratosi del ritratto della giovane, Tamino decide di andare con l'uccellatore Papageno a liberarla. Le Dame tolgono a quest'ultimo il lucchetto, e danno poi a Tamino un flauto magico che lo assista nell'impresa, e a Papageno un Glockenspielfatato. Tamino e Papageno si incamminano così verso il castello di Sarastro, sotto la guida di tre fanciulli, o genietti.

Papageno arriva per primo al castello e penetra nella stanza dove il perfido moro Monostato tiene prigioniera Pamina, oggetto delle sue attenzioni morbose. Alla vista reciproca, Papageno e Monostato si mettono paura a vicenda, essendo il primo bizzarramente rivestito di piume e il secondo un uomo di pelle nera. Entrambi scappano via, ma Papageno riprende coraggio, torna da Pamina e la informa che il principe Tamino è innamorato di lei. Costei a sua volta lo rincuora assicurando che il cielo manderà anche a lui una compagna; poi insieme tentano la fuga.

 

Frattanto, Tamino, guidato dai ragazzi, giunge di fronte a tre templi, intitolati rispettivamente alla Natura, alla Ragione, e alla Sapienza. Respinto dai primi due, vede uscire dal terzo un sacerdote egizio che gli chiede cosa stia cercando. Tamino risponde amore e virtù, eppure il suo cuore grida vendetta contro Sarastro. Il sacerdote, capovolgendo l'immagine di un Sarastro malvagio, sostiene che questi è un maestro di saggezza, il quale ha rapito Pamina per un motivo che resterà oscuro a Tamino finché non si farà guidare dall'amicizia.

Sconcertato e disorientato, Tamino suona il flauto magico nella speranza di far apparire Pamina, e riceve in lontananza la risposta dello zufolo di Papageno, che sta fuggendo insieme con lei dagli sgherri di Monostato. Per sottrarsi alle loro grinfie, Papageno fa suonare il carillon fatato, facendo ammansire per magia gli sgherri di Monostato, che si allontanano.

 

Papageno e Pamina non fanno però in tempo a esultare, perché arriva Sarastro su un carro trionfale condotto da sei leoni, preceduto da un corteo di devoti. Pamina gli confessa di aver tentato la fuga per sottrarsi alle insidie di Monostato, al che Sarastro, con fare paterno, le spiega che per il suo bene non vuole restituirla a sua madre, donna che definisce superba.

Catturato da Monostato, Tamino viene successivamente condotto al cospetto di Sarastro. Ora Tamino e Pamina si incontrano per la prima volta e subito si innamorano l'uno dell'altra. Contro ogni aspettativa, Sarastro fa punire Monostato e libera Tamino, informandolo che, se vorrà entrare nel suo regno con Papageno, dovrà superare tre prove.

 

Atto II

La scena riprende in un boschetto di acacie, al cui centro si erge una piramide. Diciotto sacerdoti marciano con passi solenni, guidati da Sarastro, per preparare il Rito di iniziazione per l'ingresso dei nuovi adepti nella loro confraternita. Sarastro rivela di aver rapito Pamina perché destinata dagli Dei al nobile Tamino. Pronuncia quindi un'invocazione a Iside e Osiride, affinché assistano spiritualmente Papageno e Tamino nelle dure prove che li attendono.

Terminata l'orazione, i due sono fatti entrare nel vestibolo del Tempio della Saggezza, dove vengono privati di ogni possesso e interrogati da due sacerdoti circa le loro intenzioni. Tamino risponde di voler cercare in amicizia la conoscenza e la saggezza, mentre Papageno preferirebbe invece una donna da amare. Entrambi incominciano quindi la prima prova: dovranno stare in silenzio, qualunque cosa accada. Presto si fa buio e riappaiono le tre Dame, che cercano di dissuaderli dall'entrare nella confraternita, mettendoli in guardia dalle false intenzioni dei sacerdoti. Tamino tuttavia non cede.

 

Nella scena seguente, Monostato si avvicina furtivamente a Pamina addormentata in un giardino notturno: vorrebbe baciarla, ma, spaventato dall'arrivo di Astrifiammante, la Regina della Notte, si nasconde per origliare. La Regina della Notte chiede a Pamina notizie del giovane che aveva inviato a liberarla, e va in collera quando apprende che si è unito agli iniziati. Poiché lei non può nulla contro Sarastro, da quando il suo sposo in punto di morte lasciò a lui il Cerchio del Sole dai Sette Raggi, consegna a Pamina un pugnale perché sia lei a uccidere Sarastro, minacciando di maledirla e rinnegarla per sempre se non farà ciò che le ha ordinato. Quando la Regina della Notte se ne va, Monostato si avvicina a Pamina e la minaccia di rivelare l'intrigo a Sarastro se lei non cederà alle sue voglie. Sopraggiunge lo stesso Sarastro che, dopo aver scacciato Monostato, si rivolge paternamente a Pamina e le spiega che non si vendicherà, perché solo l'amore, non la vendetta, conduce alla felicità.

 

Prosegue intanto il percorso iniziatico di Tamino e di Papageno, al quale si rivolge una vecchina innamorata di lui, che afferma di avere diciotto anni. Si avvicinano anche i tre ragazzi su una macchina volante, che restituiscono loro rispettivamente il flauto e il carillon di campanelli, e portano loro anche del cibo. Pamina cerca di parlare a Tamino, ma il giovane (essendo ancora sottoposto alla prova del silenzio) non può risponderle. Lei crede che lui non l'ami più, e, sopraffatta dal dolore, medita il suicidio col pugnale della madre, ma viene fermata dai tre fanciulli che le confidano che Tamino è ancora innamorato di lei.

Papageno, che ha infranto la regola del silenzio, non può più continuare la prova; non potendo ora più godere delle gioie celesti, gli viene concesso il piacere terreno di una coppa di vino rosso, e dell'amore di quella vecchia che improvvisamente si tramuta in un'avvenente ragazza di nome Papagena, la quale però gli viene subito sottratta.

 

Pamina decide invece di accompagnare Tamino nel tentativo di superare le due successive prove dei quattro elementi: l'attraversamento dei sotterranei del Tempio e la purificazione con l'Acqua, la Terra, l'Aria e il Fuoco. Pamina gli svela anche l'origine del flauto magico, che fu intagliato durante una tempesta da suo padre, Gran Maestro di una Confraternita Solare, grazie al suono del quale ora essi, protetti da una piramide di energia, possono restare indenni contro le forze astrali che si scatenano su di loro. Superando infine la prova, vengono fatti entrare nel Tempio con un coro di giubilo dei sacerdoti.

Intanto, sconsolato per la scomparsa di Papagena, Papageno vorrebbe impiccarsi a un albero, ma viene fermato in tempo dai tre genietti che lo esortano a suonare i magici campanelli: subito riappare la sua innamorata, che finalmente si concede a lui per sempre.

Programma e cast

CATEGORIA DOGE : I migliori posti, un programma gratuito, un invito al cocktail (apertura 45 minuti prima dello spettacolo) e champagne illimitato.

CATEGORIA VIP: I migliori posti in sala con bicchiere di champagne e programma gratuiti.

CATEGORIA PRESTIGE: posti eccellenti con bicchiere di champagne e programma gratuiti.

 

Durata: 3h con intervallo

 

Florie Valiquette: Pamina

Julia Knecht: la regina della notte

Mathias Vidal: Tamino

Marc Scoffoni: Papageno

Nicolas Certenais: Sarastro

Alexandre Baldo: L'oratore

Paolina Feracci: Papagena

Olivier Trommenschlager: Monostatos

Suzanne Jerosme: First Lady

Lucie Edel: Seconda Signora

Mélodie Ruvio: Terza Signora

Matthieu Chapuis: Primo Sacerdote, Uomo in Armatura

Nicolas Brooymans: Secondo Sacerdote, Uomo in Armatura

Coro e Orchestra, Le Concert Spirituel

Direttore d'orchestra Hervé Niquet

Cécile Roussat e Julien Lubek Direzione scenica, scenografia, luci

Costumi di Sylvie Skinazi

Reggia di Versailles

La reggia di Versailles (in francese château de Versailles) è un'antica residenza reale dei Borbone di Francia. La città di Versailles, nata dalla scelta di questo luogo da parte del giovane Luigi XIV per allontanarsi dalla capitale e dai suoi cittadini, temuti e considerati difficili da tenere sotto controllo, dopo l'episodio della Fronda, costituisce oggi un comune autonomo situato nel dipartimento delle Yvelines, in Francia.

All'inizio del suo regno, Luigi XIV non trovò alcuna reggia che lo soddisfacesse pienamente. A Parigi vagò tra il Palais-Royal, il Louvre, le Tuileries senza mai essere soddisfatto delle sue residenze. Per sottrarsi alla città (allora scomoda, sporca, rumorosa, stretta, inquietante anche per il re), cercò di sistemarsi a Vincennes e a Saint-Germain-en-Laye, dove era nato, e per un certo periodo soggiornò anche a Fontainebleau.

Certo tutti i castelli erano antichi, e presentavano molti inconvenienti: il re intraprese grandi lavori di ammodernamento per ridurne la scomodità, ma non trovava pace. Nel 1651 (aveva 13 anni) visitò per la prima volta Versailles - e fu il colpo di fulmine: il castello del resto era il più nuovo e moderno di tutti, e disponeva di grandi spazi per cacciare. Versailles diventò così importante, nei progetti del re, che il 25 ottobre 1660 condusse a visitarlo la sua giovane sposa, la regina Maria Teresa di Spagna.

Nel 1661, dopo la morte del cardinale Mazzarino, Luigi iniziò i lavori di ampliamento, investendovi 1.100.000 lire dell'epoca (cioè quasi venti volte il prezzo d'acquisto) e incaricando Louis Le Vau di ricostruire gli edifici, mentre Charles Errard e Noël Coypel iniziavano la decorazione degli appartamenti e André Le Nôtre creava l'Orangerie (le serre) e la Ménagerie(l'uccelliera). All'epoca, Versailles era solo una sede di diporto, buona per darvi feste in giardino, mentre il palazzo reale ufficiale restava il Louvre.

L'idea di erigere uno dei palazzi più straordinari d'Europa, in luogo del piccolo castello di Luigi XIII che la corte, sprezzante, considerava come la casa di campagna di un borghese, suscitò molte critiche a mezza bocca: il luogo era definito « ingrato, triste, senza panorama, senza boschi, senz'acqua, senza terra, perché tutto è sabbie mobili e palude, senz'aria », e quindi assolutamente pas bon.
In una lettera rimasta celebre, Colbert dava voce a queste critiche lamentando che il Re spendesse tanto su Versailles e trascurasse invece il Louvre «che è certamente il più superbo palazzo che vi sia al mondo. Che sconforto, vedere un così grande Re ridotto alla misura di Versailles!»

La prima festa data alla reggia, che durò dal 7 al 14 maggio del 1664, si intitolò « Les Plaisirs de l'Isle Enchantée » (I piaceri dell'isola incantata), e intrecciava l'ispirazione italiana tratta dai due poemi epici italiani del XVI secolo, l'Orlando Furioso dell'Ariosto e la Gerusalemme liberata del Tasso, con quella francese rappresentata da Molière, che presentò la Princesse d'Élidé e i primi tre atti del Tartufo. La festa era data (segretamente) in onore di Mademoiselle de La Vallière e Luigi stesso vi interpretò la parte del liberatore dei compagni dall'isola di Alcina.

Tra il 1664 e il 1666 Luigi XIV decise di sistemare Versailles in modo da potervi passare diversi giorni con il suo Consiglio, conservando il castello costruito da Luigi XIII. La scelta fu dettata più da motivi finanziari che sentimentali, e comunque la superficie fu triplicata e la decorazione fu lussuosissima, tematizzata sulla rappresentazione del Sole, onnipresente a Versailles. I giardini, molto apprezzati dal re, furono ulteriormente ampliati e ornati di sculture di Girardon e di Le Hongre.
Di questa prima ornamentazione sono sopravvissuti soltanto il gruppo di Apollo e le ninfe e i Cavalli del sole.

Nel 1667 fu costruito il Grand canal. Le Nôtre decise di ampliare il viale d'ingresso e passò ad occuparsi dei giardini e dell'architettura degli esterni, in collaborazione, per la parte idraulica, con la famiglia di ingegneri italiani Francine, che furono gli "Intendenti delle acque e delle fontane di Francia" dal 1623 al 1784.

La seconda festa ebbe luogo 4 anni dopo, il 18 luglio 1668, e rese noto il nome di Versailles. Conosciuta come Grand Divertissement Royal de Versailles (si potrebbe tradurre "il Gran Gioco Reale di Versailles"), fu caratterizzata dal Georges Dandin di Molière e dalle Feste dell'Amore e del Caso, di Jean Baptiste Lully.

In queste feste la corte misurò la scomodità del piccolo castello, giacché molti non trovarono dove dormire, e il Re, desiderando ingrandirlo, affidò l'incarico a Le Vau, che presentò diversi progetti. Uno prevedeva la distruzione del castello vecchio e la sua sostituzione con un palazzo all'italiana. Un altro - che fu quello scelto dal Re su consiglio di Colbert -proponeva di ingrandire il castello dal lato del giardino con un involucro di pietra.

Giardini di Versailles

I giardini di Versailles (in francese: jardins du château de Versailles) occupano la parte di quello che un tempo era il domaine royal de Versailles, il dominio reale appunto della reggia di Versailles. Situati a ovest del palazzo, i giardini coprono una superficie di 800 ettari di terreno, gran parte ricoperto da giardini "alla francese". Dietro una cintura di piante, i giardini sono circondati dalle aree urbane del villaggio di Versailles e da quello di Le Chesnay, oltre che dall'arboreto di Chèvreloup e dalle pianure di Versailles, nonché dalla fortesta Satory.

Come parte del domaine national de Versailles et de Trianon, un'entità autonoma operante sotto la tutela del Ministero della Cultura francese, i giardini sono ad oggi uno dei siti pubblici più visitati di Francia, ricevendo oltre sei milioni di visitatori all'anno.

Oltre ai meticolosi parterres di fiori e alle numerose sculture, troneggiano le fontane, sparse in tutto il complesso dei giardini. Databili all'epoca di Luigi XIV, le fontane continuano a funzionare con uno dei sistemi idraulici più complessi e duraturi dell' Ancien Régime, fornendo ai giardini un costante contributo di unica bellezza. Nei fine settimana dalla tarda primavera al primo autunno, l'amministrazione del museo promuove l'iniziativa Grandes Eaux, una serie di spettacoli durante i quali tutte le fontane del giardino funzionano contemporaneamente.

Nel 2012 i giardini assieme al castello sono stati iscritti tra i monumenti protetti dall'UNESCO.

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